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Ronciglione: tra ovattati silenzi, tradizione e fascino (parte seconda)

 di Daniela Proietti

Viterbo, 13 dicembre 2020

Conversare con chi ama le proprie origini e conosce ogni minimo evento e particolare del luogo in cui ha trascorso la propria vita, è come poter godere di una colonna sonora che accompagna lo scorrere degli edifici e dei quadri che vanno a comporre.

La signora Diana ci ha raccontato tante cose, e la nostra attenzione si è soffermata sulla distruzione che hanno portato quei bombardieri inglesi, che il 5 giugno di 76 anni fa sganciarono il loro bagaglio di morte su quelle povere genti.

La Chiesa di Sant’Andrea, o quel che rimane di essa, ne è un malinconico esempio.

Le mura, gli affreschi che conteneva, il soffitto e gli altari, le cappelle. Distrutti. In una manciata di minuti. E assieme alle pietre, caddero ben 300 vite umane. Migliaia furono i feriti. Il paese venne raso al suolo per metà.

C’è una storia che mi è stata raccontata: parla di un bambino di soli undici anni e dei suoi più cari affetti, a lui strappati in quel terribile giorno di fine primavera. Era stato mandato a prendere l’acqua alla fontana. Le condutture è probabile che fossero saltate, e quell’ometto dovette compiere un servizio che gli permise di conservare la propria vita. Lo stesso non accadde per la sua mamma e la sorella, perite sotto le macerie. Le strade polverose e la disperazione, costituirono lo scenario dello scempio a cui si apprestò ad assistere.

Un tragico errore, come riportano le cronache. Furono bombardati Villa Venturini, l’allora sede del comando germanico, il ponte innalzato in direzione di Caprarola, che costituiva una possibile via di fuga e un quartiere del paese nella sua totalità. Ma fu un’azione inutile, in quanto i tedeschi se ne erano già andati.

Abbiamo ripreso a camminare scendendo verso il livello inferiore del paese, quello che porta al Borgo di Sotto.

A sinistra, in qualche punto, le costruzioni si interrompono per lasciar spazio alla vista sulla valle macchiata dal verde delle chiome, dal marrone dei tronchi e dal grigio della pietra. C’era poca gente, fatta eccezione per alcuni adolescenti seduti sui muretti.

Abbiamo proseguito alla scoperta di quel borgo che ci era sconosciuto, e le pietre che ne costituiscono la pavimentazione, rese scivolose dalla pioggia che, delicatamente e in maniera quasi impercettibile, aveva iniziato a riversarsi  su di esse, segnavano una strada su cui molti passi erano stati battuti.

La suola dei miei stivali neri, non riusciva ad attecchire alla perfezione al selciato, costringendomi a vigilare sul mio equilibrio più di quanto non sia abituata a fare. 

Svoltando l’angolo ci siamo ritrovati  di fronte alla Chiesa della Provvidenza, eretta nell’XI secolo, che deve il suo nome ad un evento significativo. La bella costruzione in  tufo, che appoggia il suo lato minore su di un palazzetto caratterizzato da un arco a volta che permette di oltrepassarlo, fu la prima chiesa parrocchiale del paese e costituisce una sorta di frontiera tra i due borghi (di sopra e di sotto).

Arricchita da numerosi affreschi e opere scultoree, anticamente era conosciuta con il nome di Sant’Andrea. All’alba del XVIII secolo, il bordo della rupe su cui poggia iniziò a sfaldarsi e diede origine a delle lunghe crepe sulla parete della sacrestia e della canonica e sulla parte sinistra della chiesa che si affaccia direttamente sul precipizio. Dopo il distaccamento di un masso, la chiesa fu restaurata in stile barocco e nel 1742 venne aggiunto un piccolo portico esterno.

Ma  il fatto che donò un nuovo nome ad essa, fu il ritrovamento di un affresco raffigurante la Madonna con il Bambino, posizionato al di dietro di un blocco. Il parroco ritenne questo ritrovamento un cenno della Divina Provvidenza e riuscì ad accumulare, grazie alle offerte, una somma sufficiente al restauro. Il dipinto venne così collocato sull’altare maggiore. Quell’immagine, ritrovata per caso, fu subito considerata miracolosa dagli abitanti di Ronciglione.  Si seppe che San Carlo Borromeo, negli anni della sua permanenza nel territorio, andò spesso a visitarla e questo fatto spinse il parroco a farlo raffigurare sul frontespizio dell’altare.

Il campanile romanico, arrivato in buone condizioni sino ad oggi, nonostante manchino l’ultimo piano e il tettuccio di copertura, è collocato, in maniera molto suggestiva, proprio sullo sperone tufaceo.

Mentre il sole,  che in quel pomeriggio di novembre  aveva fatto tutto il giorno il prezioso si apprestava a salutarci in maniera quasi definitiva, sotto delle leggere ma pungenti goccioline d’acqua, ci siamo diretti nella parte più bassa del borgo. Tra vicoli angusti, che segnavano salite lievi e piccole discese, ci siamo ritrovati ai piedi di quelle che appaiono come delle altissime costruzioni avvolte dalla vegetazione selvaggia. Ho alzato lo sguardo per raggiungere la cima degli edifici, e la mia schiena è stata percorsa dalle vertigini ripensando a quanto gli eventi abbiano segnato la storia del paese.

Nell’alto medioevo, le popolazioni barbare effettuarono numerosi  saccheggi all’interno dei primi insediamenti, ma è dal 1045 che si può parlare di un vero e proprio borgo, che venne edificato per volere dei Prefetti di Vico.

Incluso nel Ducato Romano della Curia Pontificia, il suo percorso venne fortemente influenzato dal potere della Santa Sede.

 Nella contea di Ronciglione si affermò un governo rappresentato dal potere prefettizio. A governare furono i Prefetti di Vico, di origine teutonica, che presero il loro nome dal bacino lacustre che bagna  il territorio comunale. La famiglia costruì un castello a picco sul lago, di cui oggi restano delle rovine, che viene attualmente chiamato il Castellaccio: da quel punto, riusciva a dominare l’intero panorama. Dopo un predominio durato circa quattro secoli, Giacomo, l’ultimo signore di Ronciglione, reo di essersi ribellato, venne decapitato a Vetralla, su ordine di Papa Eugenio IV che concesse in dono il territorio alla famiglia degli Anguillara.

Il Conte  Everso per quasi trent’anni dominò sulla contea e sui paesi limitrofi. E ce ne siamo accorti in una nostra successiva passeggiata nella vicina Capranica, che sarà protagonista di uno dei prossimi racconti. Nel 1464 i discendenti del conte si ribellarono allo Stato Pontificio e il papa, Paolo II, tornò a controllare a Contea di Ronciglione, nominando governatori il Cardinale Giuliano della Rovere che, elevato a papa con il nome di Giulio II, divenne il protettore della cittadina.

Nel 1526 Ronciglione entrò a far parte dei possedimenti farnesiani. E fu con l’importante famiglia che il paese rifiorì, sviluppandosi in estensione e risplendendo per via delle costruzioni che furono erette.

Nei 123 anni di dominio, fino alla distruzione di Castro, cui venne unificata per volere di Papa Paolo III, Ronciglione fu abbellita da edifici considerevoli che è possibile ammirare ancora oggi. Le altre strutture sono rappresentate dalla Fontana Grande, o degli Unicorni, dalla Porta Romana, dalla Chiesa della Pace e dal Palazzo della Zecca, che andò distrutto a causa dei bombardamenti. Ma la vera innovazione fu la realizzazione di una rete viaria ampia e moderna.

Il borgo vide anche il costituirsi di un ghetto in cui risiedeva la comunità ebraica che, successivamente, subì gli effetti di un decreto di espulsione.

In quei decenni alle attività, prevalentemente agricole, andarono ad unirsi quelle manifatturiere, facendo del paese un importante centro economico.

Vennero aperte ferriere, cartiere, ramiere e  altri opifici, in cui vennero impiegati, grazie anche al trasferimento dalle zone settentrionali, operai specializzati: la popolazione aumentò fino a toccare i 5500 abitanti.

Anche l’industria tipografica godette di notevole rilievo: ad essa si deve la prima edizione italiana della Secchia Rapita del Tassoni e dell’Aminta del Tasso.

Nella corte ducale, come in tutte quelle che imperavano durante il Rinascimento, si tenevano feste e ricevimenti. Sembra che in quel periodo ebbe origine il famoso Carnevale Ronciglionese che tutt’ora perdura.

 La famiglia, oltre che latrice di opere architettoniche,  si ricoprì anche di debiti; l’enorme cifra accumulata causò la reazione di Papa Urbano VIII che tolse ai Farnese il Ducato di Castro e Ronciglione.

Nel 1728 Papa Benendetto XIII eresse Ronciglione  città: in quel periodo altre grandi opere furono realizzate, sebbene alcune di essere andarono distrutte durante i moti francesi. L’azione più clamorosa fu un incendio appiccato dalle truppe  del Generale Valterre, che fu causa della distruzione di 174 edifici e dell’Archivio Storico. Anche 85 cittadini perirono durante gli attacchi che vennero perpetrati  per tre giorni e tre notti nel luglio del 1799. Ronciglione, dopo i tragici eventi, non fu più la stessa.

Ci siamo mossi verso la lunga e panoramica salita che giunge alla Porta Romana che, eretta nel 1681 dal Vignola,  rientra tra le opere fatte edificare dai Farnese, ed abbiamo raggiunto la bella e spaziosa Piazza Vittorio Emanuele II, detta anche Piazza della Nave, percorsa spesso troppo celermente durante i nostri rientri dalla capitale. La mancanza di lentezza non ci ha permesso, negli anni, di ammirarne i bei palazzi adornati da stucchi e stemmi e tinteggiati con colori pastello, che donano armonia e quiete.

Di lì, abbiamo risalito Corso Umberto I e sono riaffiorati in noi i ricordi di quella magnifica festa rappresentata dalla sfilata degli imponenti carri allegorici e dei magnifici gruppi mascherati che, ogni anno, ravvivano il centro e attirano pubblico da anche da località distanti.

Il Carnevale Ronciglionese, uno dei più antichi dell’Italia Centrale, risale all’epoca dei fasti faresiani, (ci troviamo a cavallo tra il XVI e il XVII secolo), e rievoca fatti storici  e tradizioni legati alla cittadina. Il programma, sempre molto vario, spazia tra rappresentazioni teatrali in dialetto, la storica Parata degli Ussari, banchetti di golosità tipiche del luogo, sfilate e una festa tutta per i bambini.

Ho ricordi piuttosto confusi di quando, da bambina, nelle fredde domeniche di febbraio, ci spostavamo fino a raggiungere Ronciglione per assistere allo spettacolo. Eravamo in tanti, tra zii, cugini e amici. Ci stupivamo di fronte alle grandi sculture in cartapesta che rappresentavano, tra gli altri, personaggi legati a vicende dell’epoca e politici. Sono tornata, anni dopo, con le mie amiche, eravamo neopatentate. Non vedemmo un divieto, e per errore ci ritrovammo sulle vie della sfilata. La reazione degli abitanti non fu troppo accomodante. Un episodio che, oltre ad avermi un po’impressionata, mi fece capire quanto essi fossero attaccati alla tradizione.

Le Corse Berbere, dette corse a vuoto, in cui i cavalli si lanciano lungo le vie della  della città senza essere montati da alcun fantino è una delle più importanti attrazioni. Quando si assiste alla manifestazione il cuore sale in gola vedendo quei magnifici quadrupedi galoppare lungo le vie rinascimentali e udendo lo scalpitio degli zoccoli lanciati a forte velocità.

Uscendo da Ronciglione, e  inerpicandosi per sentieri, si può ammirare l’altissimo ponte in ferro della ferrovia che sovrasta la vallata in cui scorre il Rio Vicano, un emissario del lago da cui prende il nome. Lungo 119 mt e alto oltre 65, è una costruzione che conta pochi simili al mondo. Parte della linea ferroviaria Civitavecchia-Capranica-Orte, venne realizzato nella metà degli anni ’20. Interamente chiodato con rivetti, riprende negli schemi la costruzione della Tour Eiffel. La strada ferrata che lo attraversa è oramai chiusa da circa 26 anni, nell’attesa di tornare a servire i centri che attraversa.

 Ce ne andiamo dal borgo sui Monti Cimini, che è già notte. Fuori fa freddo, come è normale che sia in autunno inoltrato. La mia auto percorre la strada quasi in maniera autonoma, tante sono le volte che lo ha fatto. I miei occhi seguono le curve, si spostano sugli edifici, e poi se ne vanno in cerca della natura. E’ noiosa la strada del ritorno, così priva di attese. Guardo gli alberi e le vallate mentre raggiungiamo il passamontagna. Mi volto, verso il boschetto, e mi rivedo trentenne con i miei due primi figli. Andavamo lì, nei pomeriggi estivi. Io mi sedevo sulla panchina e li guardavo rincorrersi. Pensavo a quando sarebbero diventati adulti. E’ stato un attimo.

Si ringrazie il signor Adrian Moss per la gentile concessione delle foto di Ronciglione di notte ed Explore Tuscia per la foto panoramica

SORIANO NEL CIMINO, UN BALCONE TRA I MONTI

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SORIANO NEL CIMINO E IL POSTO PIU' VICINO AL PARADISO

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CANEPINA, UN PICCOLO BORGO E UNA GRANDE STORIA

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SAN MARTINO AL CIMINO: LA GRANDE BARCA IN MEZZO AL VERDE

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VALLERANO: UN AMORE DI STORIA E DI SAPORI

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UN BORGO DIMENTICATO: CHIA

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VIGNANELLO, IL CASTELLO E IL BORGO

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CARBOGNANO E IL LAGO DI VICO

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GLI SPLENDORI DI CAPRAROLA

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IL SILENZIO DI FABRICA DI ROMA

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L'ANTICA FALERII NOVI

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RONCIGLIONE, PARTE PRIMA

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