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Chia non e' solo " tre case e una via "

di Daniela Proietti

Viterbo, 25 ottobre 2020

In queste settimane abbiamo visitato i tanti paesi che si posano sui fianchi dei Monti Cimini. Abbiamo iniziato da Soriano nel Cimino, facendo cenno ad una delle sue frazioni, Sant’Eutizio.

L’altra frazione, Chia, l’avevamo visitata lo scorso anno, nella giornata successiva al Ferragosto. Faceva molto caldo e il borgo era avvolto in un silenzio che ne accentuava i tratti di desolazione.

Pensavamo di trovare poco, abbiamo invece scoperto una storia che il tempo non potrà mai cancellare.


“Qual è la vera vittoria? Quella che fa battere le mani o quella che fa battere i cuori?”.
Pier Paolo Pasolini, quando espresse uno dei suoi pensieri con queste parole, probabilmente era inconsapevole che lui, di vittorie, ne aveva già conquistate diverse.
Quest’artista controverso, poliedrico e innovativo, che a causa di quello che noi conosciamo col nome di “Delitto Pasolini”, lasciò incompiuto il proprio cammino, ha ricevuto molte battute di mani, ma non tante quanti i battiti del cuore, soprattutto a Chia, piccolissimo centro del viterbese.
Decidiamo di recarci in questo minuscolo borgo nel giorno successivo a Ferragosto, quando il solleone grida ancora la sua forza e una leggerissima brezza accarezza la pelle, surriscaldata dalla calura.
Dopo aver abbandonato la Strada Umbro Laziale 675, quella che noi del posto chiamiamo semplicemente Superstrada, notiamo, sul ciglio della carreggiata, molte automobili parcheggiate.
In quel punto, una staccionata, segna il confine con la via sterrata che conduce alla celebre “Torre di Chia”, che venne acquistata dal regista esattamente cinque anni prima di essere assassinato, nel 1970.
A tale struttura, caratterizzata da una particolare pianta pentagonale e adiacente ai ruderi del Castello di Colle Casale, venne integrata una costruzione che costituì la sua dimora negli ultimi anni della propria vita.
Oggi il complesso è visitabile una domenica al mese, contattando la Cooperativa Sociale “Il Camaleonte” (349 8774548 – 339 6097978).
Poco distanti dal sito pasoliniano, le Cascate di Fosso Castello, l’area archeologica di Santa Cecilia e la Piramide Etrusca di Bomarzo che, uniti ai tanti affacci sulla Valle del Tevere, conferiscono alla meta del nostro viaggio un significato più profondo.
Entriamo nel paese ancora addormentato nonostante sia già tarda mattinata. Qualche persona passeggia per le vie, alcune sono visitatori, altre abitanti, altre ancora nativi del luogo e trasferiti, che tornano al paese durante le vacanze.
Scendendo verso la piazza principale, che prelude alla zona antica, notiamo il ristorante “Da Alfiero”, punto di ristoro per i turisti e per i tanti clienti affezionati che da decenni siedono ai tavoli con vista panoramica sulla parte vecchia, per gustare degli ottimi piatti di fettuccine (e non solo).
Le simpaticissime signore, che si occupano appunto delle favolose fettuccine e degli altri piatti, ci raccontano diversi aneddoti sul periodo pasoliniano della frazione in cui vivono.
Dalle loro parole traspare un sincero affetto verso quell’uomo, innegabilmente elevato dal punto di vista intellettuale che, negli anni in cui frequentava la zona, ha amato fondersi alla società del posto, abbattendo quelle altrettanto innegabili e naturali barriere culturali che sembravano poterlo dividere dalla popolazione autoctona, di stampo prevalentemente contadino.
E l’affetto che la gente del posto provava e prova ancora verso questa personalità, traspare dal tono di voce che assume quando ne parlano. Dalla dolcezza nel ricordo delle cene al ristorante assieme a Ninetto Davoli e Franco Citti, fino alla durezza che sconfina nella rabbia, ricordando quell’omicidio, mai risolto e avvolto dal mistero.
Tante le leggende e le dicerie che si sono susseguite negli anni, soprattutto quelle che lo descrivevano come un personaggio torbido, pronto ad approfittare di uomini in cerca di successo o visibilità. Le signore hanno più volte ribadito che l’artista frequentava gente del paese, ma mai nessuno che abbia confermato queste voci.
Dalla vetrata dell’ampia sala con grandi colonne rivestite in peperino, fedeli alla roccia di cui è costituito lo sperone su cui poggia Chia, ammiriamo l’antico borgo e la piazza che lo precede, intitolata a Giuseppe Garibaldi. Ci avviamo, quindi, verso di esso, non sapendo che ci troveremo davanti un paesaggio inusuale.
Una meridiana, addossata alla parete di un palazzetto, ci dà il benvenuto; alla sua destra uno stendardo sta ad indicare la presenza dell’Associazione Culturale-Caffè Letterario “Kur” , il cui nome sembrerebbe derivare da quello di una dea, in cui vengono organizzate attività di vario genere. Se ne occupa la signora Anna, che non abbiamo avuto il piacere di incontrare.
A sinistra, invece, una lapide che ricorda i caduti nelle due guerre mondiali e il monumento, doveroso e sentito, a Pier Paolo Pasolini. Una piccola chiesa, aperta soltanto in alcune giornate, mostra la sua chiara facciata.
Inoltrandoci all’interno del paese vecchio, scopriamo che il tempo si è fermato. Numerose sono le case disabitate, o almeno questa è l’impressione che danno. Sono costruzioni di dimensioni piuttosto contenute, molte di esse mostrano segni di decadenza e abbandono.
Ci muoviamo lungo i vicoli tortuosi, che si innalzano in ripide salite e discese a picco, svoltiamo frequentemente e il panorama muta.
Sotto i nostri occhi appaiono i verdissimi boschi che attorniano il paese, interrotti qua e là da scogliere orfane di mare. Ammiriamo il vicino abitato di Mugnano, di cui individuiamo l’enorme loggia di Palazzo Orsini, Castiglione in Teverina, distante ma riconoscibile dal campanile della chiesa, i centri umbri di Attigliano, Guardea e Lugnano, il lungo rettilineo disegnato dall’Autostrada del Sole che delinea il confine tra i territori del Lazio e dell’Umbria.
Ogni tanto ci sediamo, molti sono gli appoggi che troviamo lungo le stradine di questo borgo addormentato. Un’insegna indica la presenza di un bar gelateria che crediamo sia chiuso da molto tempo, mentre un’altra, in condizioni oggettivamente migliori, annuncia la presenza di un Wine Bar.
Incontriamo pochissime persone, tra cui l’abitante della casa posta nel punto più elevato di questo paese che sorge a circa 300 metri slm. Con estrema cortesia, e con orgoglio, ci invita a raggiungere il magnifico belvedere.
La vista è emozionante e, come sempre, il sentimento che prevale è la soddisfazione di poter godere di uno spettacolo dove la natura, in maniera struggente, fa da protagonista.
Scendendo di nuovo, udiamo le voci di due persone che stanno salendo dalla parte bassa del vecchio borgo. Incuriositi, chiediamo se siano tra i 500 residenti. I signori, nativi di Chia, ci parlano delle origini dell’abitato che risalirebbero all’XI secolo, anche se, con buone probabilità, la zona fu sede di insediamenti etruschi.
Conversiamo con loro sulle attuali condizioni di degrado e sulla volontà delle amministrazioni di porre rimedio a questo scempio. In paese, difatti, alcune persone ci hanno raccontato che successivamente alla scomparsa di Pasolini, un architetto francese ebbe l’intenzione di acquistare l’intero abitato per poterlo poi restaurarlo e renderlo unico nel suo genere. A quanto pare, delle diatribe aperte col Comune di Soriano, di cui Chia dal 1942 è frazione, dopo essere appartenuta al più prossimo comune di Bomarzo, hanno fatto in modo che il progetto non andasse in porto.
Malauguratamente, questa operazione non venne compiuta e l’intero complesso venne comprato dall’ATER ma, ad oggi, non sembrerebbero esserci stati miglioramenti.
Cerchiamo di lasciarci alle spalle le questioni burocratiche, e ci concentriamo nuovamente su questa bomboniera architettonica che, in tempi neanche troppo lontani, è stata teatro di un pittoresco presepe vivente: pensiamo alla sua lunga storia e a quella nobildonna longobarda che, stabilitasi in questa terra, potrebbe averle dato il nome.
Ogni angolo della Tuscia, racconta la storia e narra le vicende delle tante blasonate famiglie che, per secoli, ne hanno controllato i territori. Dai guelfi Guastapane (che accolsero santa Rosa a Soriano) agli Orsini, di origine romana e che tante testimonianze hanno lasciato nel Lazio, fino ai principi Colonna, ai Lante della Rovere, che fecero edificare la spettacolare Villa Lante di Bagnaia e ai Borghese, cui appartenne anche il Castello di Montecalvello.
Non è assolutamente vero che Chia sia soltanto “tre case e una via” come, con eccessiva modestia, ha affermato la gentile signora a cui abbiamo chiesto informazioni all’inizio della nostra escursione.
Chia è molto di più: è storia, è natura, è cultura.
E’, tristemente, abbandono…

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