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Qualcosa di raro: "La pazza gioia"

Un gioiellino. Non può non aprirsi così la recensione de "La pazza gioia", il film uscito nelle sale il 17 maggio 2016, per la regia di Paolo Virzì e con la collaborazione, per la scrittura, di Francesca Archibugi.

Se con film come "Il capitale umano", il regista era già stato designato erede della commedia degli Anni d'Oro, con "La pazza gioia" firma una perla, uno di quei film che alimenta la fiducia nella possibile bellezza del cinema italiano.

Un cinefilo desidera, in cuor suo, che un film così venga scritto.

Uno scrittore, di qualunque categoria, attende di uscire dalla sala con l'animo in subbuglio, con quel misto tra commozione e tenerezza, tra coraggio e paura, tra divertimento e passione, per poter prendere la penna in mano e trasformare il tutto in inchiostro su carta.

 

Lacrime, risate e quindici minuti di meritati applausi hanno accolto il film a Cannes e stanno riempendo le sale italiane.

 

Una straordinaria Valeria Bruni Tedeschi apre il film e ci trascina in modo incontenibile, intrepretando Beatrice Morandini Valdirana, una inarrestabile, logorroica, sedicente contessa, ricoverata presso Villa Biondi, un istituto terapeutico per donne che sono state oggetto di sentenza da parte del tribunale e che devono sottoporsi ad una terapia di recupero.

Impossibile, per chi abbia mai avuto nella vita esperienze lavorative nell'ambito del sociale, restare indifferente al realismo con cui vengono descritte scene di vita quotidiana all'interno della struttura.

 

Un luogo bucolico, nel cuore della Toscana che, afferma il regista, auspichiamo possa esistere davvero, nello spirito di accoglienza, aiuto e fiducia che caratterizza il rapporto tra operatori e pazienti. Uno spazio in cui trovare riparo di fronte alle infinite vie di perdizione ed alla crudeltà del mondo.

Contribuiscono alla riuscita vincente nel suo realismo le ricerche presso strutture cliniche, con il supporto di psicologi e psichiatri, svolte dal regista.

Tocco eccellente la partecipazione di alcune pazienti del Dipartimento di Salute Mentale di Pistoia, che hanno arricchito il film con la proprie esperienze di vita ed una notevole vena artistica.

 

Sarà proprio presso Villa Biondi che Beatrice incontrerà Donatella Morelli, interpretata da Micaela Ramazzotti. Una giovane fragile, nel corpo e nell'animo, nata triste, come lei stessa si definisce. Il corpo deturpato dall'eccesiva magrezza, dall'autolesionismo e dall'uso esasperato dei tatuaggi, racconta da subito una storia di sofferenza pregressa e taciuta troppo a lungo.

 

L'interpretazione di entrambe le attrici appare degna di nota, seppure la Bruni Tedeschi meriti una lode particolare. Sigaretta sempre alla mano, tenuta con una classe esaperata, ombrellino ripara sole, borsa primaverile Louis Vuitton al braccio, vestitini simil sottoveste, il capo o le spalle avvolti in un foulard, amore per il buon vino, ingenuità, vanità, mancanza di equilibrio, ironia, una parlantina irrefrenabile, attraverso questo cocktail scoppiettante disegna alla perfezione una donna che alla fine risulta essere pricipalmente insoddisfatta e fragile.

 

Le due donne, in apparenza così diverse, unite dalla condivisione di un disagio, stringeranno un legame che le porterà a ripercorrere tappe del proprio passato, ad affrontare paure, fragilità e a costruire qualcosa di speciale.

In modo del tutto improbabile e rocambolesco, catturano lo spettatore in un vortice fatto di divertimento, ironia ed al contempo di riflessione e fragilità, in cui talvolta è impossibile non riconoscersi.

 

La malattia mentale, le perizie psichiatriche, passano in secondo piano.

Ci sono solo due donne che la corrente del mondo e della vita ha trascinato violentemente con sè in una spirale fatta di famiglie tutt'altro che patinate, di amori sbagliati, di debolezze, di mani grandi e forti in cui rifugiarsi che si sono rivelate sfuggenti e deleterie, un vortice caratterizzato dalla ricerca di continue vie di fuga, o meglio dalla ricerca continua del tentativo di essere felici, a qualunque costo, spesso troppo caro da pagare.

Una ricerca senza fine, come canta la colonna sonora del film.

 

Ma dove si trova la felicità? "Nei posti belli, nelle tovaglie di fiandra, nei vini buoni, nelle persone gentili!"

 

La pazzia, con il valore troppo spesso etichettante con cui questo termine viene usato, non esiste.

La differenza rispetto alle persone che hanno una diagnosi, non di rado risiede soltanto nella capacità di vivere in questa società gestendo meglio le proprie ipocrisie.

 

Dietro ad ogni gesto apparentemente folle, c'è solo la disperata ricerca di quella che tutti noi ci ostiniamo a chiamare felicità.

 

Maria Rita Pieri

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