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E questa la democrazia?

Italia. 60 milioni di abitanti, una repubblica parlamentare, un paese democratico, così come riportato dall’almanacco della CIA o su Wikipedia. Possiede il maggior numero di siti dichiarati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, è il quinto paese più visitato al mondo e già questo, la dice lunga su quale potrebbe essere la nostra principale fonte di reddito.

Eppure leggendo giornali o ascoltando notiziari, si compone uno scenario estremamente preoccupante: corruzione dilagante, criminalità organizzata, tasse, sicurezza negata, giustizia pachidermica, servizi inefficienti, scuole che crollano, così come i ponti delle nostre autostrade e lavoro che scompare insieme alle idee. 

Vista da dentro poi, magari in realtà locali, la situazione è ancora peggiore. Amministrazioni comunali schiave del sistema dei partiti, legate alle poltrone e noncuranti delle priorità reali. Già perchè se ci si considera dei cittadini onesti, alcune delle scelte portate alla cronaca come prioritarie, stridono con i reali bisogni di un paese considerato “civile”, nonostante lo Stato sia ovunque, ed entri in ogni momento del giorno nella nostra vita e chieda, dichiari, legiferi, sorprenda, sfotta, rinneghi. Fuori da ogni qualsiasi logica elementare.

Ieri, dopo tanto clamore mediatico, si sono svolte le elezioni regionali. Affluenza alle urne prossima al 50%. Significa che la metà degli aventi diritto ha delegato ad altri il compito di designare i propri amministratori, la metà degli aventi diritto ha preferito il mare alla propria porzione di futuro, la lasagna della suocera alla responsabilità di una scelta, la gita fuori porta a cinque minuti di democrazia. 

O almeno a ciò che rimane della stessa.

Perché questa, che qualcuno si ostina a chiamarla democrazia, è in realtà qualcosa di “leggermente” diverso. Intanto lo Stato non siamo più noi. Noi non siamo più quel “demos” radice greca che indicava il popolo, siamo solo strumento per raggiungere il “cratos”, il potere, siamo solo voti. Quei voti che disegneranno logiche di partito, dinamiche personali, rinnegando leggi esistenti, quei voti che vanno a finire a indagati, inquisiti, condannati. Quelle tessere su cui si scrive un nome per il quale, un presidente del consiglio non eletto, si accanisce contro un organo dello stesso Stato (antimafia) e del suo stesso partito , quando tempo addietro e per la stessa motivazione, ad un ex leader di partito veniva applicata con rigidità una certa legge e oggi, per oscuri motivi, la stessa legge non si può nemmeno nominare. 

E tutto questo, il cittadino comune, intorpidito dalla droga quotidiana di storie melense e di pubblicità televisiva, non lo percepisce più. Perché siamo corti di memoria, siamo plasmabili, siamo condizionabili dalle parole, dall’aspetto e non, necessariamente, dai fatti. Perché quei voti servono per ottenere il “cratos"che serve solo per fare attività di facciata, mentre la vita reale è nelle cronache quotidiane e normalmente ha il viso dei più deboli. Deboli che hanno il volto di un padre divorziato che dorme in auto, di un genitore che non può pagare le tasse, di un anziano ucciso in casa tentando di difendersi da cattivi locali o da stranieri che vengono a conquistare nuove terre.  Terre indifese da ubriachi che guidano, zingari, eversivi, ladri, e dai nostri stessi figli trasformati in violenti invasati. Terre di mafiosi di ogni tipo, come quelli che si fermano a chiaccherare coi loro simili dentro l’auto e sfacciatamente, fermano la strada e le persone oneste dietro di loro e che, se provi a redarguire, hai tutto da perdere.

Come sulle parodie a fumetti di Alan Ford dove c’era il manigoldo di turno che rubava ai poveri per dare ai ricchi in una grottesca logica al contrario. Si chiamava Superciuk. Questa è la democrazia dei Superciuk.

Perché io lo capisco che chi non va a votare, con questi presupposti, può aver ragione. Tutti in Italia hanno ragione, anche i delinquenti ma delegando il potere ad altri, in genere, lo si lascia sempre a chi ha torto.  

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