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L'incorrotta bellezza di Palazzo Altieri e la magia del borgo di Oriolo Romano

di Daniela Proietti

Viterbo, 7 marzo 2021

Quando, tra molti anni, ripenserò alla mia visita ad Oriolo Romano, mi verranno in mente  gli occhi, gialli e allungati, di un gatto. O forse era una gatta. Si sa, i piccoli felini domestici possiedono un carattere altalenante.  Talvolta sembrano del tutto indifferenti alla presenza dell’uomo per poi mutare, in un attimo, il proprio atteggiamento  e considerare gli umani come una minaccia dalla quale sfuggire.

Eravamo appena scesi da quella barca su gomma che da molti mesi ci sta fedelmente traghettando sui fiumi d’asfalto della nostra provincia. Avevamo trovato un ormeggio sicuro, posto a lato della bella Piazza Umberto I, grande ed ariosa, caratterizzata da linee pulite e palazzetti d’epoca, che facevano da contorno al principe del paese, il meraviglioso Palazzo Altieri.

Di fronte a noi, due piccole porte in legno. Seduti sul sedile della nostra macchina, le abbiamo notate per la loro altezza estremamente ridotta. Parevano appartenere all’universo lillipuziano e, magari, una volta aperte, ci avrebbero introdotti in un mondo magico o, più probabilmente, in piccole stanze dal sapore vintage.

Il mio ampio cappotto celeste pastello, si accordava magnificamente alla vernice grigio polvere tendente all’azzurro, con la quale erano dipinte le ante. Non ho resistito, ho salito i due scalini velocemente e mi sono posta tra di loro, di tre quarti, con la testa leggermente inclinata e cercando di limitare un larghissimo e incontenibile sorriso, segno naturale di gioia e riconoscenza a chi permette al sole di illuminarci. Il gatto, persuaso, o forse scocciato da tanto entusiasmo, mi ha fissata, nonostante non ne avessi notato la presenza.

Il viaggio non era stato lungo. Ci eravamo spostati dalla vicina Bassano Romano, caratterizzata da vicoli stretti e angusti, dove forte si sentiva il tempo che aveva segnato edifici e strade.

La via che porta al borgo che avevamo scelto come nostra meta, ci ha ricordato i lunghi vialoni delle città di provincia americane: larghi, delimitati da ampi marciapiedi, su cui deve essere comodo passeggiare, e con diversi negozi e supermercati, anch’essi dallo stampo metropolitano.

La sp 493, detta Claudia Braccianese, che in parte ricalca il percorso dell’antica consolare Clodia e collega la cittadina di Capranica alla periferia nord della capitale passando per il Lago di Bracciano, prossimo al comune oriolese e compreso nella provincia di Roma, con la quale Oriolo Romano confina abbondantemente, ci ha condotti fino a quella piazza che ci ha decisamente affascinati, nella quale sono presenti, oltre alla maggiore attrazione artistica del borgo, diversi palazzetti d’epoca e una grande fontana.

Mentre eravamo nei pressi del bar, abbiamo avuto la percezione che la porta dell’imponente edificio  fosse socchiusa.  Ci siamo avvicinati e abbiamo chiesto di poterlo visitare.

Ogni volta che varco la soglia di un edificio antico, ho l’impressione di poter compiere un balzo all’indietro nel tempo. Mi sento catapultata in un’epoca che, seppur non l’abbia vissuta, mi è familiare. Stavolta, la magia del vivere in un tempo lontano, non è avvenuta. La sensazione prevalente, è stato lo stupore di fronte alla perfezione degli interni. L’incorrotta bellezza non mi ha permesso di addentrarmi in una dimensione lontana.

Palazzo Altieri, è un vero gioiello. Ci ha sorpresi, nonostante fossimo abbastanza preparati.

Quella che fu la grandiosa residenza della  Famiglia dei Principi Altieri, che annoverò nella sua progenie diversi cardinali, venne edificata tra il 1578 e il 1585 dai Santacroce. Durante il papato di Clemente X, nato Emilio Bonaventura Altieri, che rappresentò la punta di diamante della famiglia, il palazzo fu ampliato su disegno dell’architetto Carlo Fontana. Per quanto riguarda il progetto iniziale, sembra che Giorgio II Santacroce, abbia interpellato l’architetto tardo rinascimentale Jacopo Barozzi detto il Vignola, affinché pensasse e realizzasse sia il palazzo che l’abitato circostante.   

Dando le spalle all’ingresso, abbiamo scattato una foto alla bellissima piazza.

L’aria che tirava da nord, rendeva i colori particolarmente brillanti e il cielo di un azzurro che declinava verso il colore dello zaffiro, la mia pietra preferita.

“Zephiro torna, e ’l bel tempo rimena,
e i fiori et l’erbe, sua dolce famiglia,
et garrir Progne et pianger Philomena,
et primavera candida et vermiglia.

[…]

 Il Canzoniere

Francesco Petrarca

Chissà se quel giorno di inizio marzo il giovinetto Zefiro, aiutato dalle sue ali,  stesse compiendo un volo sui cieli della Bassa Tuscia e spargesse, da ovest, quel leggero venticello che tanto vigore ha donato alla nostra passeggiata.

Abbiamo risalito la passerella in legno che poggia sui bassi scalini dell’entrata e ci siamo lasciati trasportare nel vortice dei colori e del tempo.

Il Salone degli Avi, è il vano principale attorno al quale si sviluppano sale e gallerie. Interamente affrescato, come le altre raffinatissime sale, offre una vista panoramica sul verde cortile interno. Molte delle pitture sono state attribuite a Taddeo Zuccari, autore, assieme al fratello, degli affreschi che impreziosiscono il Palazzo Farnese di Caprarola.

Le scene raffigurate hanno come soggetto sette immagini di Roma, storie tratte dall’Antico Testamento e paesaggi relativi ai luoghi appartenuti all’ultima famiglia proprietaria, tra cui la Mola del Biscione, Vicarello, una frazione del comune di Bracciano, il  Castello di Rota, compreso nel comune della vicina Tolfa, Monterano e Vejano.

Quando ci si trova dentro il palazzo, gli occhi non possono fare a meno di spaziare in ogni direzione. Scivolano sui mattoni che presentano avvallamenti e rialzi provocati dai tanti passi che debbono aver sopportato, si innalzano verso i soffitti che narrano storie e raccontano volti, accarezzano pareti e quel poco di mobilio rimasto.

Già, perché il palazzo, cinquant’anni fa, è stato spogliato di ciò che lo riempiva, a quanto pare, per saldare i debiti contratti dalle principesse ereditarie della famiglia Altieri.

 Nel 1970, difatti, vennero messi all'asta gli oggetti d'arte, mobili, libri, strumenti musicali presenti nel palazzo. Lo Stato Italiano, affinché anche lo storico stabile non subisse la stessa sorte, lo acquistò con diritto di prelazione.   

Entrati nel Salotto delle Belle siamo rimasti ammaliati dall’armonia dei volti femminili che la illuminavano, abbiamo ricercato quello che più si avvicinasse ai canoni dell’estetica moderna, e lo abbiamo trovato in una ragazza dal volto affilato e con gli occhi da cerbiatta. Abbiamo avuto modo di chiedere e di ricercare notizie sull’identità delle dame, ed abbiamo saputo essere le unici sorelle Mancini, dipinte dal pittore fiammingo Voet, autore di numerosi e celebri ritratti. La volta della sala è completamente affrescata con grottesche in stile pompeiano.

Al lato estremo del palazzo, in direzione est, in una serie costituita da nove sale adiacenti, è contenuta una preziosa raccolta di dipinti a olio su tela raffigurante tutti i papi che si sono succeduti nel Cristianesimo, da San Pietro a Francesco. La Galleria dei Papi, vanta l’unica completa collezione di papi esistente al mondo. Dei 266 dipinti ben 242 sono stati eseguiti prima della fine del XVII secolo, probabilmente da esecutori della medesima scuola. I ritratti, databili al 1500/1600, sono stati copiati da quelli realizzati da artisti famosi: Giulio II della Rovere  fu eseguito da Raffaello, mentre Paolo III Farnese uscì dalla mano di Tiziano.  Paolo V, Camillo Borghese, è un Caravaggio.

Ci siamo spostati e abbiamo goduto della magnificenza della Sala da Pranzo, della Sala del Trono, dell’Anticappella e della Cappella in cui è contenuto un dipinto della Madonna con Bambino. Sotto l’altare riposano i resti del Martire cristiano San Massimo. Altre pregiate opere impreziosiscono il sacro ambiente.

Al lato opposto, quello occidentale, un passetto conduce al Parco di Villa Altieri.

Avevo passeggiato lungo i diritti viali in un tempo un poco lontano. La sua visione fu una sorpresa. Oriolo Romano, per me, era soltanto un piccolo comune agli estremi della provincia, che conoscevo, e per questo chiedo venia, soltanto per averlo attraversato di ritorno dal Lago di Bracciano e per i racconti di un mio compagno al corso di specializzazione che, dall’anno in cui terminammo, il 1998, non ho più rivisto.  Non pensavo, nella maniera più assoluta, che fosse foriero di cotanta storia e cultura.

Quella volta che visitai il parco, parcheggiammo la nostra autovettura a pochi passi dall’ingresso. Era una soleggiata domenica pomeriggio e credo che gli abitanti del paese avessero una gran voglia di respirare la piacevole aria primaverile. Sulle lievi collinette che danno movimento al giardino, scorazzavano bambini sotto l’occhio vigile dei propri genitori e cani sotto quelli, invece, dei loro premurosi padroni. Mi sono seduta su una delle tante panchine che offrono ristoro ai visitatori un po’ pigri, ed ho ammirato i colori della natura, con la forte percezione di quanta voglia di rinascita ci fosse.

Il paese, è immerso nel verde e in un luogo baciato dalla fortuna per ciò che riguarda la natura.

In direzione est, verso il vicino bacino vulcanico di Bracciano, è presente una grande foresta di faggi secolari, attualmente di proprietà dell’Università Agraria. Gli alberi sono migliaia, e le loro chiome costituiscono un fitto tessuto che separa l’uomo dal cielo. Il sottobosco è ricco di fiori variopinti, tra cui rare e preziose orchidee. La fauna è ricca e varia.

A nord ovest, invece, lo storico Parco della Mola, voluto nel 1573 dal feudatario Giorgio di Santacroce, così chiamato in quanto le acque presenti, che appartengono al fiume Mignone e che si lanciano in una pittoresca cascata, venivano sfruttate  per la molitura del grano di farina.

Il fiume è menzionato da Virgilio nell’Eneide. L’eroe troiano, difatti, lo percorse quando si cimentò nella ricerca di alleati tra gli Etruschi di Cerveteri e Tarquinia.

In tempi non recenti, nel laghetto all’interno del parco, venivano gettate le greggi per igienizzare i manti delle pecore prima della tosatura. La zona è ricca di sorgenti, tra cui una ferruginosa. Vi sono anche terre e fanghi allo stato naturale utili per praticare massaggi e cure di bellezza.

E proprio in località “La Mola” sono state ritrovati reperti appartenenti a  insediamenti stanziali risalenti all’epoca protostorica (periodo villanoviano-etrusco). Ulteriori testimonianze, come delle tombe a camera, una cisterna e un colombario, sono presenti in zone circostanti.

Nel IV secolo d.C., sotto il pontificato di Melchiade I, Forum Clodii, vicina all’attuale borgo, era sede vescovile: Domiziano fu il primo vescovo. Questa frammentaria notizia è l’ultima che si ha dell’epoca antica. Dovettero passare oltre mille anni (1234) affinché, in un atto amministrativo, si senta di nuovo parlare di Oriolo.

La data ufficiale di fondazione del paese sembrerebbe essere il 18 aprile del 1560, ed è con Giorgio II Santacroce, il quale ricevette il feudo in donazione dalla famiglia Orsini, che l’abitato iniziò a prendere forma. Si deve al discendente di Onofrio il disboscamento della selva di Manziana, nella quale, nel 1562, vennero condotti i coloni.  Il nobil uomo, inoltre, migliorò la via Claudia, fortificò con mura il castello di Oriolo e fece costruire, nel 1570, la Chiesa di San Giorgio, che venne poi ampliata in stile tardo barocco un secolo dopo, nel 1671.

All’interno del tempio sacro, nella seconda cappella, troneggia la statua della Madonna della Stella, un bene preziosissimo e adorato dalla popolazione, che la porta in processione ogni anno durante la festività della Madonna di Ferragosto. L’altare è sovrastato da una tela, di chiara imitazione raffaellita,  raffigurante San Giorgio che uccide il drago.

Il Santacroce, affinché il luogo si popolasse ed avesse braccia votate al lavoro, chiamò nelle sue terre contadini e boscaioli, oriundi campani e umbri, che venivano chiamati “capannari”. Ad essi vennero concessi alcuni privilegi purché provvedessero al disboscamento e alla coltivazione dei campi.

Nell’anno 1575, centosei persone erano residenti nel territorio. La loro origine determinò effetti nella strutturazione del dialetto e delle abitudini culinarie.

All’inizio del XVII secolo, Onofrio III Santacroce venne decapitato a Castel Sant’Angelo in Roma e, due anni dopo, nel 1606, i feudi di Viano e di Oriolo tornarono alla famiglia Orsini, per essere rivenduti nel 1671 alla Famiglia Altieri, che ne fu proprietaria fino al 1927.

Si era fatto tardi, e abbiamo deciso di girare un po’ per le vie che si dipartono dalla piazza. Mi è sembrato di essere a casa, tanto le piccole palazzine sono simili a quelle del luogo in cui vivo, La Quercia. Alcune persone erano intente a svolgere lavori di vario genere appena fuori la porta di casa, riportandoci ad un’atmosfera, purtroppo, lontana.

Ci siamo seduti al bar, sulla pedana in legno che guarda al palazzo. Abbiamo ordinato un aperitivo, pregustando il delizioso momento che avremmo trascorso a breve, quando dolci note d’arancia pervadono le nostre papille gustative.

Il sole cominciava a calare dietro i tetti, e iniziava a far fresco. Ho dovuto stringere attorno al mio corpo l’ ampio cappotto per giovare un po’ del tepore donato dalla lana d’alpaca.

La cameriera, intanto, aveva portato  al tavolo i nostri calici. Ho posto il bicchiere in modo che il palazzo si colorasse di toni arancioni, era così  bello che non ho avuto il coraggio di consumarlo. Ho aspettato che il ghiaccio si sciogliesse, che il liquido perdesse la sua vividezza, ed ho bevuto.

 

VILLA SAN GIOVANNI IN TUSCIA: UNA SPLENDIDA SCOPERTA

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NON SOLTANTO UNA VIA: MONTEROMANO

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