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Il percorso del cuore per raggiungere l'incantato borgo de La Quercia

di Daniela Proietti

08 settembre 2019

Lasciare la florida Valle del Tevere, è stato un dispiacere. Per tanti mesi ha fatto compagnia a me e al mio accompagnatore. Ci ha mostrato i suoi presepi adagiati sugli aspri speroni tufacei o in peperino, ci ha tolto il fiato proponendoci immensi spazi verdi tagliati dall’azzurro del fiume o dal grigio scuro delle strade. Abbiamo goduto del silenzio che regnava nelle sue campagne, tra le anguste vie dei suoi borghi e all’interno di palazzi nobiliari, manieri e chiese.

Nulla ci conduceva col pensiero alla città da cui eravamo partiti ogni volta che ci dirigevamo in uno dei diciassette paesini in cui ci siamo recati.

Nella tradizione italica, il diciassette non è un numero fortunato, tanto che si paventava l’ipotesi di non poter continuare il nostro viaggio alla scoperta degli immensi patrimoni storici, artistici e culturali che subiscono la stessa sorte di un bel quadro appeso alla medesima parete da vent’anni: nessuno, talmente siamo abituati alla sua presenza.

Nel corso della nostra esistenza, ci lanciamo in viaggi costosi e faticosissimi alla ricerca di un qualcosa che possa arricchirci ed emozionarci, salvo poi ripetere a noi stessi che, in fondo, l’emozione deriva in gran parte dalla novità.

Così, abbiamo deciso di riprendere il nostro cammino e stavolta lo abbiamo fatto con il più povero e, valutando la tesi e l’antitesi, prezioso dei nostri mezzi: le gambe.

Dal centro di Viterbo, la frazione de La Quercia, dista poco più di due chilometri, e neanche ci si accorge di uscire dalla città. Le costruzioni si susseguono una dopo l’altra, senza quasi lasciar spazio alla natura.

Il nostro punto di partenza è quel fastidiosissimo passaggio a livello che da quasi cent’anni taglia la città di Viterbo e innervosisce non pochi automobilisti che rimangono bloccati al di fuori delle sbarre che lo delimitano.

Superata la stazione della Roma Nord che collega il capoluogo della Tuscia alla capitale attraversando Civita Castellana, e inaugurata nel 1913, ai due lati della strada fanno bella mostra di sé dei piacevoli villini, alcuni dei quali in stile Liberty.

Oltrepassato l’incrocio regolato da quattro semafori, il viale assume la funzione di divisorio tra due popolosi quartieri, Ellera e Paradiso.

Il nome del primo quartiere deriva dalla chiesa che lo rappresenta, Santa Maria dell’Ellera. O dell’edera perché, a quanto pare, in passato, il rampicante veniva nominato così.

Nei miei ricordi personali questa chiesa possiede un peso molto elevato, dato che l’ho frequentata ed ho vissuto a poca distanza da essa per oltre vent’anni. Non è mai stata considerata una costruzione interessante, molti non le riconoscono alcun valore, dato che dovette essere riedificata dopo i bombardamenti effettuati sulla città nel 1944, assumendo così l’aspetto di un edificio sacro di poco interesse. In realtà la prima pietra fu posata alla fine del XVI secolo e numerose erano le opere in essa contenute.

Chiusa per molti anni, è stata riaperta al culto il 29 giugno del 2019.

I fitti platani donano il ritmo al nostro cammino e ci riparano dal debole sole di settembre, mentre il lieve venticello che percepiamo, porta un brivido leggero sulla nostra pelle.

Avanzando incontriamo gli ex Magazzini Generali, un tempo pieni di colori, rumori e disordine, oggi in evidente stato di decadenza e abbandono.

Molti progetti sono stati presentati per una degna riqualificazione del complesso, sebbene ad oggi rappresentino soltanto il territorio dei tanti cinghiali che si aggirano indisturbati nella nostra zona.  

Passo dopo passo, sul lato destro della strada, una preziosa fontana funge da spartitraffico per le automobili che entrano ed escono da via del Crocifisso. Costruita nel’500 su volere di Papa Polo III Farnese, aveva lo scopo di dissetare i viandanti che si recavano in pellegrinaggio alla Basilica di Santa Maria della Quercia.

Al fontanile in peperino segue un’edicola dedicata alla Madonna. Molti anni fa se ne prendeva cura una bella signora bionda. Quasi ogni giorno la vedevo portare fiori a Maria e dare l’acqua alle piante che abbellivano la piccola cappella.

Aver cura di un bene comune, è contribuire al mantenimento delle nostre ricchezze, delle quali, troppo spesso, non teniamo conto.

Di fronte alla cappella, una grande e antica villa attira i nostri sguardi e ci ammalia con il fascino del passato che è in grado di emanare.

Non sappiamo a chi sia appartenuta e chi abbia la fortuna, oggi, di poter girare tra le sue stanze dagli altissimi soffitti. Proviamo ad immaginare quante generazioni abbiano albergato tra le mura e passeggiato nell’ampio giardino costeggiato da quella che oggi è una delle vie di collegamento più trafficate della città, via Po.

E su quella via, la maestosa villa ha il proprio punto d’accesso, lasciando alle erbacce quello che una volta ne costituiva l’ingresso principale, collocato proprio sul viale che abbiamo percorso per raggiungere La Quercia e caratterizzato da alte scale che impedivano l’entrata a carri e carrozze.

Per un tratto la strada prosegue in maniera un po’ meno entusiasmante. Un lungo ponte sovrasta la circonvallazione “Giorgio Almirante” e velocemente giunge all’ex Albergo Olimpia.  

L’edificio, di un tenue colore aragosta, conserva il fascino seicentesco di quella che fu Villa Maidalchini, la famiglia da cui proveniva, appunto, Donna Olimpia. L’hotel, che fu di proprietà di Margherita Carletti Camilli-Mangani, conobbe momenti di notorietà molti decenni fa, quando le sue lussuose stanze, alla fine degli anni ’50, venivano occupate da Re Gustavo VI Adolfo di Svezia, fautore degli scavi di San Giovenale, Luni e Acquarossa.

Diverse vie laterali conducono a piccoli complessi residenziali in cui la tranquillità e il silenzio fanno da padroni.

La piccola scuola primaria “La Quercia” ci dà il benvenuto. Venne eretta a metà degli anni ’50 ed è stata frequentata da generazioni di querciaioli e di viterbesi, i cui genitori ambivano ad un istituto che avesse un numero limitato di alunni. Circondata da un ampio giardino con altissimi pini, durante l’estate accoglie i bambini dei centri estivi.

Quasi giunti al termine di Viale Trieste, a cui un tempo era attribuito il nome di Viale Madonna della Quercia, alla nostra destra appare un Crocifisso, che un tempo era in una posizione più centrale rispetto alla strada ma, a causa della sistemazione del marciapiedi, è stato spostato.  

Finalmente, anche se la passeggiata non ha provocato altro che piacere, abbiamo raggiunto la bella frazione.

Una fontana a fuso in peperino, occupa una piccola piazza purtroppo sempre intasata di auto che vanno e che vengono, ignare delle norme che regolano il Codice Stradale.

Dal fondo di questo spazio è visibile una dolce vallata che viene smorzata dalla presenza di un campo da basket. Al di sotto si intravede un grande giardino, chiamato dagli abitanti “il prato”. Nella bella stagione si popola di bambi e di persone in cerca di ristoro.

Contrapposta alla piazza, una stretta salita introduce alla zona Respoglio. All’inizio della strada l’ex asilo infantile, presente già durante la seconda guerra mondiale e vittima dei furiosi bombardamenti del ’44, ora sede dell’oratorio, frequentatissimo.

La Quercia è un gioiellino. Un tempo era conosciuta anche per il lussuoso ristorante Aquilanti, che ha chiuso i battenti molti anni fa. Oggi i suoi locali sono occupati da diverse attività; un supermercato, una farmacia, un laboratorio di tatuaggi e un’ottima pasticceria, L’Etoile di Alice, costantemente gremita di gente alla ricerca di prodotti dolciari particolari e di design.

L’abitato della frazione è formato da casine basse e dalla superficie piuttosto limitata. Nella parte destra del borgo, delle costruzioni ad un piano costeggiano il limitare del paese. Furono costruite, secondo i racconti degli abitanti, per alloggiare i pellegrini in visita al santuario. Poco più avanti, l’ingresso secondario dell’oratorio, da cui si accede a quello che fu il seminario de La Quercia, in cui riposò esattamente dieci anni fa Papa Benedetto XVI, e oggi trasformato in casa di riposo.

La Basilica è il vero tesoro di questo piccolissimo borgo. Intitolato alla Madonna, fu terminata nel 1577 a seguito di alcuni eventi legati a leggende o miracolosi.

Sembrerebbe, secondo racconti non verificati, che un’immagine della Madonna che abbraccia il Bambino fosse stata commissionata da un fabbro al Maestro Monetto e poi posizionata sopra un albero di quercia a protezione della sua vigna. Nonostante diversi tentativi di furto, sembrerebbe che la tegola tornasse costantemente al suo posto. Il fatto non poggia su documentazioni storiche, mentre, diversamente è per ciò che ci lasciò intendere il cronista Niccolò Della Tuccia.

Durante i mesi di luglio e agosto dell’anno 1467, una tremenda pestilenza si abbattè sul nostro territorio. La popolazione, disperata, si raccolse intorno all’immagine per pregare. Inspiegabilmente, dopo alcuni giorni, l’epidemia cessò.

Il 20 settembre dello stesso anno, 40000 persone andarono a ringraziare la Madonna portando delle offerte che permisero la costruzione di una piccola chiesa. Successivamente gli introiti furono maggiori e venne commissionata al Sangallo quella meraviglia che tutti conosciamo.

La Basilica di Santa Maria della Quercia, è caratterizzata da un ampio sagrato e da una facciata maestosa e sul timpano sono scolpiti due leoni ai lati di una quercia. Sopra le due porte laterali e l’enorme porta centrale, si trovano le lunette realizzate da Andrea Della Robbia.

Un campanile svetta dall’alto, nonostante sia stato eliminato un piano, sul lato sinistro e le campane contenute sono molto antiche. Una, fusa nel 1528, è dedicata a Maria Santissima, mentre l’altra, costruita nel 1654, è dedicata a Sant’Agata.

L’interno è stupefacente: cappelle, altari, statue, dipinti e il raffinato soffitto a cassettoni, impreziosito dall’oro portato da Cristoforo Colombo dalle Americhe.

Un’altra fontana a fuso rallegra la piazza antistante la basilica e alti platani regalano l’ombra a quanti amino trascorrere del tempo sulle panchine. Numerosi negozi vivacizzano e rallegrano il paese, conosciuto anche per gli ottimi prodotti da forno “Biscetti” e gli accoglienti bar “Marini” e “Mama’s”.

Fino alla primavera La Quercia, poteva fregiarsi anche di un cinema che, purtroppo, ha chiuso i battenti.

E così decidiamo di sederci in uno di questi bar, per assaporare un gustoso aperitivo e percorrere con la mente i secoli di storia che hanno visto svilupparsi questo minuscolo borgo, ritenuto in passato tanto distante dalla città da doverlo raggiungere con le carrozze o con il tram, di cui fino a poco tempo fa erano ancora visibili i binari.

 

 INIZIAMO CON IL MERAVIGLIOSO BORGO DI VITORCHIANO

(LINK DI SEGUITO) http://www.viterbox.it/rubriche/viterbox_15/vitorchiano-un-altro-borgo-da-visitare-tra-storia-fascino-e-tradizioni_2154.htm

 PER POI PASSARE AL BORGO DI ROCCALVECCE CON IL SUO CASTELLO DEGNO DI LUNGHE E APPROFONDITE VISITE

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 E COME NON VISITARE IL BORGO DI SANT'ANGELO CON I SUOI DISEGNI CHE CI RICORDANO LE FIABE!

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SIPICCIANO, LA GLORIA DEI BAGLIONI

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LA FORTEZZA DI GRAFFIGNANO, INTRODUCE AL PICCOLO E CURATO BORGO CON AFFACCIO SULLA MACCHIA

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LA SORPRESA DI UN BORGO FANTASTICO: CIVITELLA D'AGLIANO

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SAN MICHELE IN TEVERINA, UNA TERRAZZZA SULLA VALLE DEI CALANCHI

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 UNA TORRE NELLA TORRE ED UN MAGNIFICO BORGO A BASSANO IN TEVERINA

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IL CALORE E LA TRADIZIONE A CASTIGLIONE IN TEVERINA 

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ARTE, STORIA E TRADIZIONE NEL CASTELLO DI MONTECALVELLO, CON UNA GUIDA D’ECCEZIONE

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MUGNANO IN TEVERINA: SILENZI E CULTURA

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UNO SPERONE DI TUFO NELLA VALLE DEI CALANCHI: LUBRIANO

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CIVITA DI BAGNOREGIO, LA REGINA DELL’ALTO LAZIO

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BOMARZO, UN BORGO TRA IL PARCO DEI MOSTRI E LA PIRAMIDE ETRUSCA

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LA LUNGA STORIA DEL CARATTERISTICO BORGO FANTASMA DI CELLENO VECCHIA

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UN PICCOLO BORGO SORPRENDENTE: CHIA

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L'ULTIMO SPERONE IN TERRA DI TUSCIA: ORTE

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