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Bagnaia: arte e tradizione tra giardini, palazzi e chiese

di Daniela Proietti

14 settembre 2019

La meta di una delle prime gite che ho fatto, e di cui conservo la memoria, è stata Bagnaia. Così vicina al posto in cui sono nata, Viterbo, eppure quasi un luogo a sé, di cui gli abitanti vanno orgogliosi in maniera smisurata.

Non mi sono mai dedicata alle scienze dialettologiche, sebbene io provi una curiosità molto forte sul perché a distanza di pochissimi chilometri, neanche quattro da Viterbo, la popolazione utilizzi un gergo differente ed abbia soprattutto una calata tanto dissimile da quella del capoluogo.

In ogni caso, le gite di cui parlo, si svolgevano a bordo di quel trenino retrò formato da pochissimi vagoni che da Viterbo conduce a Piazzale Flaminio, a Roma.

Lo prendevamo alla stazione della Roma Nord, in Viale Trieste, e arrivavamo con un viaggio di neanche dieci minuti, dopo aver attraversato le campagne della zona “Capretta” e il ponte de La Quercia, che sovrasta Strada Acquabianca, facendo sbuffare quanti erano costretti ad una lunghissima sosta al passaggio a livello di Bagnaia.

Poco prima di giungere alla frazione, un altro passaggio a livello taglia la strada che da Bagnaia porta a Vitorchiano, segnando il confine del cimitero. Lì di sbarre non ce ne sono. Tanti anni fa, in un tremendo incidente, persero la vita due bellissimi ragazzi nel fiore degli anni.

Di quelle gite pomeridiane di tanti anni fa, ricordo l’ottimo gelato al Bar Fernando e le lunghe passeggiate nei viali boscosi di Villa Lante.

Questo capolavoro dell’architettura italiana, conosciuto nella nostra nazione e anche all’estero, è composto di due diversi edifici, attorno ai quali sorge un magnifico giardino all’italiana, visitabile previo pagamento  di un biglietto, e un enorme parco aperto al pubblico dal sorgere al calar del sole. Ho passeggiato decine di volte e in diversi momenti della mia vita all’interno di quel grande spazio verde. Mi ci portavano i miei genitori durante le famose gite, ci andavo da ragazza nei caldi pomeriggi estivi e ci sono tornata quando avevo i bambini piccoli. Amavano correre, saltellare e giocare con la palla su quei dolci pendii sempre gremiti di gente in cerca di tranquillità.

Questa volta, in veste di visitatrice, ho posto più attenzione a tutto ciò che mi circondava, senza cadere nelle dolci grinfie dei sentimenti e dei ricordi.

Così, dopo aver raggiunto la cima della lieve salita di via Jacopo Barozzi, intitolata proprio a colui che ne è ritenuto l’ideatore e che, nel 1511, su mandato del Cardinale Gianfrancesco Gambara, diede il via ai lavori, abbiamo varcato il grande cancello d’ingresso della villa, appoggiando il passo sul pavimento ghiaioso. Di fronte a noi, la vista si è aperta sulla monumentale Fontana di Pegaso, un’enorme vasca al centro della quale spicca il cavallo alato, attorniato da quattro amorini con ali di farfalla. Nella parte posteriore della fontana, sull’alta parete, risaltano i nove busti delle Muse; altri due busti, rivolti verso Pegaso, si trovano agli angoli estremi della fontana.

E’ possibile arrivare al grande spiazzo sovrastante in due maniere diverse: salendo la lunga scalinata posta tra la fontana e la parte privata della villa, oppure seguendo una strada curvilinea e leggermente in salita.

Abbiamo scelto di percorrere la via più breve per guadagnare l’ingresso del tanto decantato giardino all’italiana. Alla nostra sinistra si è aperto il magico parco strabordante di siepi simili a sculture e statue in pietra. Al centro dell’area quadrata prospiciente la prima palazzina, si innalza la Fontana dei Quattro Mori del Giambologna.

Il giardino all’italiana ha costituito, specialmente in passato, l’ambita scenografia per le tante coppie di neo sposi che cercavano uno sfondo raffinato per immortalare la loro giornata più bella.

Incuriositi, siamo saliti verso la porzione superiore dell’ampio spazio verde e ci siamo persi tra giochi d’acqua e sculture, forti querce e lecci dalla chioma folta, giardini a terrazze e originali fontane, come quella dei “Lumini”. Abbiamo vagato tra quelle strutture che un tempo, addirittura secoli fa, costituivano il divertimento e la fierezza di chi (tra questi i Lante Montefeltro della Rovere) ha avuto il privilegio di trascorrere le proprie giornate in quel paradiso tra i Monti Cimini.

Un fitto bosco avvolge le spalle di questa opera architettonica di pregio e la lunga strada, denominata Strada Romana, che lo suddivide, procede tra curve e salite fino ad arrivare alla Strada Canepinese. Lungo questa via, degli ampi appezzamenti di terreno accolgono numerosi alberi di castagno che secondo i racconti degli abitanti, alcuni secoli fa, vennero piantati per sfamare la popolazione del borgo stremata da una carestia. E, affinché la popolazione residente al di fuori delle mura potesse approvvigionarsi d’acqua, venne edificata a cavallo dei secoli XV e XVI quella che è conosciuta come Fontana del Bacio.

Dalla villa partono tre vie parallele, opera del senese Tommaso Ghinucci, incaricato nella metà del ‘500 del riordino urbanistico del borgo, che convergono verso Piazza XX Settembre (per cui l’architetto  sopracitato si ispirò alla più celebre Piazza del Popolo di Roma), il punto di ritrovo dei bagnaioli, sempre e costantemente occupata dai veicoli che si spostano o tornano dalla Strada Ortana; sfortunatamente è impossibile chiuderla al traffico, visto che rappresenta l’unica via di uscita dal paesino.

La piazza non è grande, ma in essa vi sono ben due chiese: la Chiesa di San Giovanni Battista e la Chiesa di Sant’Antonio, intitolata al Santo, protettore anche degli animali, che viene festeggiato in maniera molto sentita il 16 gennaio. Per l’occasione vengono accatastati quintali di legname che, dopo la benedizione del Vescovo, sono dati alle fiamme. Il “focarone” sprigiona un calore quasi insopportabile: nonostante ciò è sempre presente una grande folla festante, e le mura delle costruzioni si colorano di un caldo arancione. I bagnaioli, durante la magica serata di metà gennaio, amano raccogliersi nella loro amata piazza per assistere a quel caratteristico momento e gustare una rigenerante tazza di cioccolata calda in cui inzuppano i tipici biscotti della festa: i cavallucci.

Un’altra ricorrenza vivacizza il già frizzante borgo: in agosto viene ricordato con una processione e con giornate di festa, San Rocco. La processione che accompagna il santo in piazza, parte dal centro del paese, la parte più bella e, secondo noi, non adeguatamente valorizzata.

La “città di dentro”, come viene nominata per evitare di confonderla con la parte esterna, la “città di fuori”, serba al proprio interno i luoghi di maggiore interesse storico.  Al cuore antico del paese, la cui origine si stima di poco antecedente all’anno 1000, si accede tramite l’unica porta che interrompe le mura, sovrastata dalla Torre dell’Orologio, che un tempo fungeva da torre di avvistamento del castello.

Il borgo, durante le serate agostane, è uno spettacolo. Centinaia di fiammelle illuminano con la loro luce fioca le lunghe vie che suddividono l’abitato, tanto simile alla vicina Vitorchiano. Tra panni stesi nelle vie e persone sedute a conversare, ci siamo spostati respirando l’aria “di una volta”.

All’inizio del nostro cammino abbiamo incontrato il Palazzo Ducale o delle Logge, donato dalla città di Viterbo al Vescovo nel XIII secolo. Per merito del Cardinal Niccolò Ridolfi, dal 1532 al 1550, si arricchì di numerose opere d’arte di grande pregio; i più importanti esponenti del Manierismo Italiano si occuparono della decorazione delle sale. Antonio Tempesta e Raffaellino da Reggio, dipinsero su pareti e soffitti mappe geografiche, vedute paesaggistiche, scene bibliche e quadri dell’Eneide.

La via prosegue lungo l’antico abitato, dove a case occupate si alternano abitazioni lasciate libere durante la stagione invernale per poi essere utilizzate come case vacanza. Giunti quasi all’estremità del borgo, calcando il passo su Via Malatesta, incontriamo un palazzo di grande interesse storico, Palazzo Gallo. Eretto nella metà del XVI secolo dalla famiglia romana dei Gallo, fu sede del Comune di Bagnaia fino al 1928, anno in cui divenne parte della provincia di Viterbo, di cui è attualmente frazione. Lo stabile è molto ampio e conta circa venti stanze; la particolarità è data da una rientranza presente sulla facciata in cui si notano due colonne ioniche e quattro lesene che sostengono una loggia dal soffitto ligneo. Anche il portone d’ingresso è contraddistinto da un affresco che eleva il Cardinale Antonio Barberini, signore di Bagnaia per tre anni a partire dal 1642.

Ritornando verso la Torre dell’Orologio, osserviamo una targa che ricorda una popolana, “la Pucciarella”, che nel 1527, sparando un colpo di mortaio, salvò Bagnaia dai saccheggi e dalle violenze dei Lanzichenecchi.

Il pregevole intervento della donna, rimasto nella memoria del paese, viene rammentato ogni anno il secondo giorno dopo la Pasqua, con una processione che parte dalla piazza e percorre la via diritta, progettata attorno al 1500, che porta alla vicina La Quercia. In questa occasione, viene portata in dono alla Madonna una grande croce d’argento.

Tra i numerosi eventi che si svolgono nella frazione del capoluogo, non va certo dimenticata la processione del venerdì santo, in cui si rievoca la passione di Gesù Cristo.

Dopo aver trovato sulla nostra strada chiese e cappelle, fontane e palazzi storici, secondo noi poco valorizzati, abbiamo deciso di esplorare la zona est del paese di fuori. Un passaggio a livello interrompe ancora una volta l’abitato.

Ricordo di essermi fermata tantissime volte e di aver osservato con minuzia il tunnel che immette sul lungo e alto ponte sospeso sulle campagne, edificato durante il ventennio. Oltrepassato lo sbarramento, la strada curva in maniera secca e dopo aver quasi completato i 180°, permette una pittoresca visione delle case arroccate con caparbietà al peperino di cui è composta quella rupe che svetta a più di 400 mt sul livello del mare.

Di lì ci siamo allontanati da questa frazione viterbese ricca di potenzialità ma bisognosa di maggiore cura.

Bagnaia non è soltanto il luogo in cui è ubicata Villa Lante. Bagnaia conserva quasi un millennio di storia e l’orgoglio, riconosciuto e leggendario, dei suoi abitanti.

 

 INIZIAMO CON IL MERAVIGLIOSO BORGO DI VITORCHIANO

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 PER POI PASSARE AL BORGO DI ROCCALVECCE CON IL SUO CASTELLO DEGNO DI LUNGHE E APPROFONDITE VISITE

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 E COME NON VISITARE IL BORGO DI SANT'ANGELO CON I SUOI DISEGNI CHE CI RICORDANO LE FIABE!

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SIPICCIANO, LA GLORIA DEI BAGLIONI

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LA FORTEZZA DI GRAFFIGNANO, INTRODUCE AL PICCOLO E CURATO BORGO CON AFFACCIO SULLA MACCHIA

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LA SORPRESA DI UN BORGO FANTASTICO: CIVITELLA D'AGLIANO

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SAN MICHELE IN TEVERINA, UNA TERRAZZZA SULLA VALLE DEI CALANCHI

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 UNA TORRE NELLA TORRE ED UN MAGNIFICO BORGO A BASSANO IN TEVERINA

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IL CALORE E LA TRADIZIONE A CASTIGLIONE IN TEVERINA 

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ARTE, STORIA E TRADIZIONE NEL CASTELLO DI MONTECALVELLO, CON UNA GUIDA D’ECCEZIONE

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MUGNANO IN TEVERINA: SILENZI E CULTURA

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UNO SPERONE DI TUFO NELLA VALLE DEI CALANCHI: LUBRIANO

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CIVITA DI BAGNOREGIO, LA REGINA DELL’ALTO LAZIO

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BOMARZO, UN BORGO TRA IL PARCO DEI MOSTRI E LA PIRAMIDE ETRUSCA

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LA LUNGA STORIA DEL CARATTERISTICO BORGO FANTASMA DI CELLENO VECCHIA

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UN PICCOLO BORGO SORPRENDENTE: CHIA

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L'ULTIMO SPERONE IN TERRA DI TUSCIA: ORTE

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UNA BOMBONIERA A DUE CHILOMETRI DA VITERBO: LA QUERCIA

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